Il bastone e la carota. Il bastone (sotto forma di altri 30 mila militari da inviare a stretto giro di posta) è mostrato ai nemici in Afghanistan. La carota (la promessa che nel 2011 inizierà il ritiro delle truppe, che dovrebbe completarsi nel 2013) è rivolta invece agli americani. Con il Premio Nobel appoggiato su una già impolverata mensola della White House, Barack Obama parla ai cadetti di West Point (che non si spellano le mani in applausi): è stato in assoluto il suo discorso più difficile. E per certi versi contraddittorio.
Chissà cosa avrebbe fatto se non avesse vinto il Premio Nobel per la Pace. Barack Obama nella notte di ieri ha annunciato una decisione già estremamente contestata, sicuramente controversa: ha deciso di aumentare considerevolmente il contingente di truppe americane impegnate in Afghanistan. In un discorso pronunciato davanti ai cadetti di West Point (non a caso), Obama ha rilanciato la battaglia al terrore annunciando l’invio al più presto di ulteriori 30 mila uomini per combattere "il cancro" di Al Qaeda. In compenso ha anche promesso che a luglio 2011, prima cioè della conclusione del suo primo mandato, inizierà il ritiro delle truppe. Che dovrebbe completarsi non prima del 2013.
Si è tutto giocato su questo "doppio messaggio" il discorso pronunciato la scorsa notte dal presidente americano. Un messaggio apparentemente contraddittorio, ha sottolineato il New York Times, che "riflette gli ostacoli che Obama deve affrontare nel motivare una nazione" che appare appunto spaccata su quello che si deve fare in Afghanistan. Lo stesso Obama ha sottolineato nel suo discorso, durato in tutto 36 minuti, "di non aver preso questa decisione alla leggera", giustificando il lungo processo, quasi tre mesi e nove consigli di guerra, che l’ha portato a dire sì alle richieste dei militari: "se non pensassi che la sicurezza degli Stati Uniti e l’incolumità degli americani fossero in gioco in Afghanistan, sarei stato felice di richiamare ogni singolo soldato domani". Ma non è così, ha aggiunto il presidente, ricordando come "rimangano enormi sfide" di fronte ai militari americani che a metà del prossimo anno arriveranno a quasi 100mila unità in Afghanistan. Allo stesso tempo Obama ha voluto mandare un messaggio di determinazione e fiducia nella vittoria: dobbiamo "portare questa guerra ad una conclusione vittoriosa – ha detto – noi stiamo attraversando un lungo processo, ed il messaggio che mandiamo nel mezzo della tempesta è chiaro: la nostra causa è giusta, la nostra determinazione ferma".
Nel discorso forse più difficile dall’inizio della sua presidenza, Obama si è rivolto direttamente alla platea di cadetti dell’Accademia che ha visto 73 caduti tra i suoi ufficiali dall’11 settembre ad oggi: "lo so che questa decisione è particolarmente onerosa per voi, i militari che, insieme alle vostre famiglie, avete già portato il carico più pesante". Sono stati relativamente pochi gli applausi arrivati dalla platea, forse a simboleggiare uno scetticismo più ampio che Obama dovrà affrontare da parte del pubblico americano, che i sondaggi mostrano ormai in maggioranza contrario al conflitto, di una grande fetta del partito democratico, fino ad arrivare ad alleati riluttanti. E proprio agli alleati Obama ha ricordato che "questa non è solo una guerra dell’America" in un messaggio rivolto in primis al governo di Kabul, ma anche al Pakistan e agli alleati della Nato. A quest’ultimi Obama ha ripetuto in pubblico la richiesta già fatta in privato, rinforzi per almeno 5mila unità da affiancarsi a quelli da lui decisi.
"Dobbiamo unirci per mettere fine a questa guerra con successo – ha detto – perché in gioco non è solo la credibilità della Nato, ma la sicurezza dei nostri alleati e la sicurezza comune del mondo". Ma il messaggio di maggior vigore è stato diretto al governo afghano, ed al presidente Hamid Karzai, rieletto il mese scorso per default e da molti, anche a Washington, non considerato un partner affidabile, su una cui azione in reazione del surge Obama ha deciso di scommettere con la sua nuova strategia.
"Così come abbiamo fatto in Iraq, noi effettueremo il trasferimento di responsabilità tenendo conto della situazione sul terreno – ha detto il presidente, ammettendo implicitamente un parallelismo tra questo surge e quello deciso da George Bush nel 2007 in Iraq – ma dovrà essere molto chiaro al governo afghano, e principalmente al popolo afghano, che avranno loro la responsabilità per il loro paese". In questo modo, e fissando una data per l’avvio del ritiro, Obama ha voluto accogliere le preoccupazioni espresse dal vice presidente Joe Biden, ma anche dallo stesso ambasciatore in Afghanistan Karl Eikenberry, contrari ad un’escalation militare che secondo loro avrebbe solo aumentato la dipendenza di Karzai dai militari Usa e prolungato l’impegno americano. "Noi non siamo interessati ad occupare il vostro paese – ha detto Obama rivolgendosi agli afghani, ricordando la loro storia di decenni di conflitto, a partire dall’invasione sovietica – l’America vuole mettere fine a questa era di guerre e sofferenze". Infine il messaggio al Pakistan, al governo impegnato in una guerra sempre più aperta con i talebani nelle aree tribali le cui sorti è ormai evidente fanno parte della soluzione del conflitto nella regione di Af-Pak, "l’epicentro della violenza estremista di al Qaeda". Obama si è impegnato a rafforzare la relazione con Islamabad per combattere "il comune nemico": "in passato vi è stato chi in Pakistan sosteneva che la lotta contro l’estremismo non fosse la loro lotta e che per il Pakistan sarebbe stato meglio non fare nulla o cercare accordi con chi usava la violenza – ha detto – ma ora che innocenti sono uccisi da Karachi ad Islamabad, risulta evidente che è il popolo pakistano il più minacciato dagli estremisti". Il presidente Obama ha quindi rilanciato una cooperazione con Islamabad fondata sui "reciproci interessi, rispetto e fiducia".
IN AFGHANISTAN VITTIMA NUMERO 300 TRA I MILITARI USA NEL 2009
La forza della Nato in Afghanistan ha annunciato oggi la morte di un soldato americano, il 300esimo militare Usa rimasto vittima dei combattimenti nel paese asiatico nel 2009. “n soldato americano di Isaf è stato ucciso ieri in un attacco alla sua pattuglia da parte di un gruppo di ribelli nell’est del paese", ha riferito la forza Nato in un comunicato. Questo nuovo decesso porta a 486, tra cui 300 americani, il numero dei soldati stranieri morti nel paese asiatico in tutto il 2009.