Paola Lavagnini, imprenditrice comasca. “La banca mi nega 150mila euro. Devo chiudere: ai miei operai chi glielo spiega?”.
Cinquant’anni di storia alle spalle, l’azienda lombarda è entrata nel girone infernale del credit crunch. La Lavagnini è un cattivo pagatore, lo scrive la Centrale rischi della Banca d’Italia. “Siamo marchiati e siamo tutti nella stessa situazione. Se il cliente non mi paga io non posso pagare il fornitore. Siamo collegati”. Manca la liquidità e crescono gli insoluti. E in banca regnano i criteri rigidi, asettici, e molto prudenziali di “Basilea 2. L’azienda, che produce telai per la stampa sui tessuti, aveva il 30-35 per centodel fatturato che proveniva dall’estero, Nord Europa, Australia, Russia. Oggi niente, zero. Da febbraio si fa la cassa integrazione a rotazione. Nei primi anni Novanta lavoravano fino a 24 operai. Ora sono rimasti in otto, più un’impiegata per l’amministrazione. La Lavagnini ha quindi chiesto quest’ultimo prestito: 150 mila euro. “Mi basterebbero per ripartire”, sostiene. Ma la sua banca, quella dove aveva da quarant’anni il conto, ha detto no. Lo ha comunicato il 2 settembre.
Saverio Mercadante