La caveja, il telaio, la stufa, il ‘prete’ e la ‘suora’: oggi rivivono grazie al Consorzio Terra di San Marino in un luogo dove il passato diventa presente
La caveja, il ferro da stiro, il “prete” e la “suora”. E ancora: il falcetto, il telaio, gli attrezzi per sistemare le scarpe, il letto in ferro battuto, i sacchi di frumento e di orzo, la stufa e le tovaglie color ruggine e blu. Tutti oggetti d’un tempo che oggi, grazie alla passione e ad un attento lavoro “filologico” portato avanti con raro amore dai curatori Ezio Bartolini e Filippo Giardi, ritrovano vita all’interno del prezioso “Museo della civiltà contadina”, ubicato nel pendio che guarda verso il Monte Carpegna ed inaugurato i primi giorni dello scorso maggio.
Il colpo d’occhio che accoglie i visitatori è ragguardevole: un sasso – che reca la targa “Museo della civiltà contadina” – annuncia l’edificio, costruito in pietra e inserito con gusto dal punto di vista paesaggistico: la vista del Monte è incantevole, come incantevoli sono i prati che circondano la casa.
Il manufatto, che la delibera del Congresso di Stato n. 50 del 29 aprile del 2005 ha dato in concessione al Consorzio Terra di San Marino, presenta – dopo i lavori di ristrutturazione – un corpo di fabbrica a pianta rettangolare, e si sviluppa su tre piani. Nel seminterrato, dove trovavano originariamente dimora gli animali, la cantina e il deposito degli attrezzi, oggi può essere ammirata anche per il particolare di due travi a vista – in quercia – davvero suggestive per spessore e forma (non sono infatti perfettamente squadrate ma appaiono piuttosto come due tronchi irregolari e curvi). Al piano terreno è stata posizionata la cucina: qui tra il tavolo, la stufa e il caminetto, si può ancora respirare il clima del rito del cibo, anche grazie a un paio di piccoli salami che scendono dal soffitto. Al primo piano, dove trovano alloggio la camera e una stanza, sono invece stati posizionati, in bella mostra, alcuni oggetti tipici della civiltà contadina. Qui, nel piano più alto della fabrica, una bella esposizione delle diverse varietà di cereali, ma anche recipienti, trapani manuali, pinze, punteruoli, chiodi di diverse dimensioni e martelli, che annullano di fatto il tempo, e incuriosiscono il visitatore per acutezza mentale, praticità e bellezza estetica.
“Abbiamo avuto una certa libertà operativa per quel che concerne la costruzione del museo – racconta Ezio Bartolini -. In questo edificio, costruito con muri piuttosto spessi in pietra legata con malta gessosa, abbiamo voluto recuperare una testimonianza concreta di una tradizione contadina, un’impronta di quello che eravamo e di quello che siamo”.
Una memoria fatta di fili, di pentole, di oggetti in legno. Un luogo di ricordi, spesso ancora vivissimi, per le persone anziane, ma anche una casa che unisce – idealmente – i nonni ai nipotini, attenti a seguire le spiegazioni dettagliate di ogni particolare.
“La cucina, come la camera da letto – che è stata impreziosita da un armadio in legno di abete che conserva e contiene alcuni abiti del tempo, sono originali – racconta con un pizzico di motivato orgoglio Filippo Giardi –. Anche la sala della tessitura è stata riproposta con grande fedeltà, quasi a voler creare un ponte temporaneo e ideale che collega il passato al presente.. Per quel che concerne il telaio, abbiamo intenzione di ‘rimetterlo in uso’ grazie al supporto di una giovane ragazza laureata in tessitura. Ma nella stanza si possono trovare anche alcune tovaglie e, appesi al muro, una serie di sigilli che servivano per adornare e personalizzare i teli, In vista dell’inverno, stiamo lavorando sull’idea di costruire un orto didattico, uno spazio che sappia contenere e soprattutto raccontare i prodotti della terra”.
Un luogo della memoria, in grado di insegnare, anche alle giovani generazioni, la vita di un mondo che non è poi così lontano. E che può insegnare – soprattutto oggi – l’importanza e il valore, prezioso, della stessa vita.
Alessandro Carli