Il rosso Valentino non va più di moda nei negozi. In compenso furoreggia sulle passerelle del credito: 2,4 miliardi di debiti con scadenza 2015 concessi da Unicredit, Mediobanca e Citigroup vanno rinegoziati. Crollano le vendite.
Valentino fa i conti con la pesante eredità delle scalate a leva predicate dai fondi di private equity quando la liquidità sgorgava ancora copiosa. Compreso il colosso anglosassone Permira che nella primavera del 2007 ha comprato dai Marzotto la maison romana (nel pacchetto anche la controllata Hugo Boss, le licenze Marlboro e Missoni) pagando 3,8 miliardi, due terzi dei quali ottenuti dalle banche.
Febbre dei mercati
Oggi la musica in passerella è cambiata. Le vendite scendono, i margini si riducono e i circa 2,4 miliardi di debiti con scadenza 2015 concessi da Unicredit, Mediobanca e Citigroup vanno rinegoziati perché la febbre dei mercati che ha colpito anche le griffe del lusso sta alterando gli equilibri finanziari su cui erano stati costruiti gli accordi due anni fa.
Così Permira, e dunque anche Valentino, si ritrovano stretti tra la necessità di nuovi investimenti per sostenere lo sviluppo e le ristrettezze del credito. Perché con la crisi non bastano più la creatività e le top model venerate in passerella. La finanza dei fondi di investimento, come Permira, deve rendere conto ai suoi azionisti ogni tre mesi. Non ha tempo per il futuro.
Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli
Gli ostacoli
Il problema è che dal momento dell’acquisto della holding Valentino Fashion Group il percorso di Permira si è riempito di ostacoli: prima l’addio alla maison del fondatore Valentino Garavani. Poi il matrimonio e divorzio lampo fra la società e la sua sostituta Alessandra Facchinetti (avvenuto "in diretta" durante le sfilate di Parigi lo scorso ottobre) cui è seguito l’arrivo della coppia Chiuri-Piccioli, già a capo degli accessori e allievi del fondatore.
Al valzer di poltrone nell’ufficio creativo si sono aggiunte le difficoltà della controllata Hugo Boss (da cui dipende più dell’80% del risultato operativo del gruppo) che, dopo l’uscita della sua guida storica Bruno Saelzer, ha chiuso il primo semestre con un calo del 19% dell’utile netto passato da 59 a 48 milioni e una frenata del 5% delle vendite a quota 788 milioni. Calo che ha imposto un taglio al personale di 150 persone su 2.800.
Rischiano di peggiorare anche i conti della stessa Valentino Fashion Group che ha chiuso il 2008 con 2,2 miliardi di ricavi (+2,8%) e una perdita netta di competenza pari a 483,1 milioni (rispetto all’utile netto di 29,4 milioni del 2007). Nel 2009 l’impegno si è concentrato sul controllo dei costi per essere pronti alla ripresa del mercato. La violenza della crisi ha anche obbligato la griffe a frenare l’apertura di nuovi negozi. Contemporaneamente è stata costretta a ridurre i prezzi, altissimi, per allargare il bacino di clientela e rendere il prodotto più accessibile.