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USA nella bufera: a rischio 416 banche

da Redazione

In grave pericolo l’intera economia statunitense, problemi anche per gli istituti “troppo grandi per fallire”. Il 25% del settore bancario non ha fatto profitti durante il secondo trimestre

E’ come un polifemo accecato. Enorme ma fragile. Aveva sviluppato in maniera abnorme nella sua crescita impazzita un solo occhio, quello finanziario, e ancora adesso per questo rischia di morire. Anzi di fallire. Il sistema economico americano corre un pericolo mortale: sono a rischio fallimento, sono ancora aumentate, 416 banche. La Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia federale che garantisce la sicurezza dei depositi, ha redatto una lista sull’aumento del numero delle banche problematiche, aggiornata al secondo trimestre 2009: 416 istituti bancari per un capitale totale di 299,8 miliardi di dollari rispetto alle 305 banche e 220 miliardi del trimestre precedente. Ma non è finito il conto del funerale: le banche hanno registrato perdite per 3,7 miliardi nel secondo trimestre rispetto ai 7,6 miliardi di profitti del primo trimestre, soprattutto a causa dei costi provocati dall’aumento dei livelli di titoli nocivi e dalla perdita di valore delle proprietà.
A completare il quadro della fragilità estrema del settore, secondo gli studi della Fdic, un altro dato preoccupante: il 25% non ha fatto profitti durante il secondo trimestre, anche se in presenza di un miglioramento complessivo dei livelli dei capitali.
Grande preoccupazione, quindi, del super ministro del Tesoro Timothy Geithner. Troppe istituzioni finanziarie di dimensioni ridotte posano su mutui commerciali di dimensioni significative. Per Sheila Bar, titolare della Fdic, la la debolezza del settore bancario “non sono più i mutui residenziali ma quelli di tipo commerciale che sono stati colpiti duramente dalla recessione”.
Gli analisti prevedono che il settore stia andando verso una nuova fase di deterioramento. Nel 2009 sono già fallite 81 banche rispetto alle 25 del 2008 e alle tre del 2007.
Ma si è aperto anche un altro varco nella trincea della crisi americana. Il grande rebus, l’ossimoro finanziario è quello delle “banche troppo grandi per fallire”. Chissà quali risorse ancora richiederanno all’Amministrazione Obama, se mai ne possegga a sufficienza. Mentre Barack lancia i primi segnali di speranza di fuoriuscita dalla recessione, e vuole affrontare il tabù della società americana, la riforma sanitaria, si stende la grande ombra della dimensione imponente degli istituti bancari, troppo grandi come gli enormi Suv dai folli consumi che attraversano gli Stati Uniti: fu una delle cause alla base della crisi d’autunno del 2008. Il governo USA si svenò senza ritegno, sembrava l’unica soluzione per cercare di salvarle dal fallimento. Ma la crisi che asciuga, stringe, riassetta, cerca strumenti più agili e trasparenti, qui sembra non avere effetti positivi sull’elefantiasi bancaria. Le grandi banche hanno oggi dimensioni maggiori rispetto a un anno fa: Jp Morgan Chase possiede oltre il 10% dei depositi dell’intera nazione, come Bank of America e la californiana Wells Fargo. Questi tre mostri, insieme a Citigroup (stava annegando miseramente e fu salvata an-ch’essa dalla manina generosa dell’intervento pubblico), emettono il 50% dei mutui e due terzi delle carte di credito. Qual è il problema che alimenta la crisi ed è addirittura peggiorato?
Le grandi banche hanno più facilità a prendere in prestito il danaro a prezzi bassi rispetto alle altre: i creditori credono che un loro fallimento sia meno probabile. Risultato: una riduzione della concorrenza con i consumatori obbligati a scegliere fra un numero sempre più ridotto di servizi finanziari a prezzi più alti.
Nasce da qui l’altra contraddizione di sistema: detenere oltre il 10% dei depositi non dovrebbe essere tollerato dalle leggi dell’Antitrust.
Con il rischio che salvare le troppe grandi potrebbe far cadere l’intero sistema.

Saverio Mercadante

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