Il mare è mosso, forza sette, ma le blue chip si allontanano senza paura dai porti di casa per raggiungere le acque internazionali dove c’è ancora molto da pescare.
Il mare è mosso, forza sette, ma le blue chip si allontanano senza paura dai porti di casa per raggiungere le acque internazionali dove c’è ancora molto da pescare. Sulla base dei dati forniti da tutte le 40 aziende a maggiore capitalizzazione del Ftse Mib (il principale indice di benchmark dei mercati azionari italiani), secondo Il Sole 24 ore, che ha confrontato il fatturato del 2008, ultimo dato disponibile, con quello del 2007 viene fuori un dato incontrovertibile: il giro d’affari estero complessivo si è attestato a quota 263,58 milioni di euro, in rialzo del 16,9% rispetto ai 225,38 milioni dell’esercizio precedente. Un dato altamente indicativo del grado di internazionalizzazione delle big cap di Piazza Affari. Ma che assume ancora maggiore rilievo se lo si confronta con la crescita dell’intero volume d’affari delle blue chip italiane, passato da 463,85 a 520,13 milioni di euro, con un incremento del 12,13 per cento. Cioè, in valore relativo, i ricavi generati oltre le Alpi hanno corso di più di quelli dello Stivale. Non solo: nel 2007 l’incidenza dell’estero su tutto il fatturato delle big cap milanesi era del 48,6% (il 47,8% nel 2006); nell’anno successivo questo valore è salito al 50,6%. Vale a dire: più della metà dei ricavi delle blue chip hanno una targa estera.
FIXING N.30 – venerdì 31 luglio 2009