Nell’80 per cento dei casi aumentano i prezzi al consumo dei prodotti di aziende coinvolte. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia.
Una verifica empirica negli USA, mostra che aumenta l’80% dei prezzi al consumo dei prodotti di aziende coinvolte in una fusione. Tuttavia, ogni anno sono più di mille le richieste di fusione presentate all’Autorità antitrust americana e solo pochissime sono respinte per la preoccupazione che si determinino più alti prezzi al consumo. Non servono le tante risorse per esaminare gli effetti delle fusioni sui prezzi prima che avvengano, anche se senza informazioni è impossibile stabilire se le politiche adottate siano corrette e quali aggiustamenti si debbano apportare. Prima del XXI secolo, gli Usa hanno visto la più grande ondata di fusioni della sua storia, con un numero di richieste più che raddoppiato tra il 1994 e il 1999. E’ dall’incremento dei prezzi manifestato in quelle fusioni che si sono ricavate le indicazioni per stabilire se la politica dell’Autorità in fatto di fusioni possa essere stata troppo ostile o troppo accondiscendente. Per rilevare fattori di disturbo che potrebbero intervenire al momento della fusione (cambiamenti nella domanda, nei costi o nei prezzi), si usa una tecnica di stima pluriennale dei dati, chiamata “difference in differences”, con cui misurare l’effetto sui nuovi prezzi al consumo. Si osservano gruppi di controllo a intervalli vicini all’epoca di fusione preferibilmente composti dai prodotti o servizi di marche private (private label) venduti dai distributori di vari settori. La scelta avvantaggia i consumatori perché le private label sono spesso sostituti dei marchi di più alta qualità interessati dalla fusione. Se le private label sono offerte in modo elastico, il loro prezzo fornisce un buon controllo dei costi in modo che questi prodotti siano poco colpiti dall’incremento dei prezzi non competitivo, attuato dagli attori della fusione. I risultati empirici mostrano che la maggioranza delle fusioni ha visto l’aumento di alcuni prezzi al consumo tra il 3 e il 7% che, considerata la diffusione dei prodotti, ha trasferito molta ricchezza dai consumatori alle imprese; e, anche se il variare dei prezzi varia con la tecnica di stima utilizzata, non è mai cambiata la conclusione che quelli al consumo non sono diminuiti, anche quando si è variato il modo di misurarli o l’intervallo di tempo da quando le variazioni dei prezzi potevano essere effettuate.
Saverio Mercadante