Il 44esimo Presidente degli USA ha giurato: "Dobbiamo affrontare molte sfide ma siamo pronti". Un primo discorso senza iperbole. "Scrolliamoci di dosso la polvere e ricominciamo". Intanto i timori sul fragile stato di salute del sistema bancario affossano Wall Street.
Che peso può avere la speranza quando il mondo intero in diretta televisiva e due milioni e mezzo di persone nella spianata tra il Congresso e il Mausoleo di Lincoln dalle cinque di mattina aspettano di ascoltare la tua voce? “Le sfide che dobbiamo affrontare sono molte ma sappi questo, America: saranno affrontate! Oggi siamo qui perché abbiamo scelto la speranza sulla paura”. Che peso può avere la speranza quando tutti pensano che Israele abbia invaso Gaza e ritirato l’ultimo soldato dalla Striscia un attimo prima che tu iniziassi a parlare, perché tutto non sarà più come prima? “A tutti coloro che perseguono i propri scopi con il terrore e l’assassinio degli innocenti possiamo dire… non sopravviverete, non durerete più a lungo di noi. Al mondo musulmano: cerchiamo un modo nuovo per andare avanti basato sul rispetto reciproco e sul reciproco interesse. Ai leader che cercano di dare le colpe all’Occidente, sappiate che il vostro popolo vi giudicherà per quello che farete. Anche se mostrerete il pugno, noi vi tenderemo la mano”. Barack Hussein Obama II, tra il giallo dello spolverino di sua moglie Michelle che reggeva la bibbia rossa su cui ha posato la mano all’atto dello giuramento, e i 21 colpi di cannone che hanno urlato al mondo che era diventato il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti d’America, forse dentro di sé ha continuato a farsi un’unica domanda: ‘Ce la farò a cambiare per sempre questo Paese?’. “E’ falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali – ha detto Obama – L’America è amica di ogni nazione, di ogni persona che cerchi pace, giustizia e libertà. Possiamo far fronte alle nuove sfide che chiedono uno sforzo ancora più grande, oltre che una maggiore cooperazione e comprensione tra le nazioni. Cominceremo a lasciare in modo responsabile l’Iraq alla sua gente”. Forse mentre ascoltava Aretha Franklin cantare l’inno soul ‘My Country, ’Tis of Thee’ avrà pensato a quella frase pronunciata il quattro novembre, l’indomani ripresa da tutti i giornali e comparsa sulle copertine dei settimanali: “It’s been a long time coming, but tonight, change has come to America”, c’è voluto molto tempo, ma stasera, in America è arrivato il cambiamento. “Se siamo arrivati sotto nubi nere che si addensano sopra di noi – ha scandito Barack di fronte alla folla immensa del Mall – è perché non abbiamo fatto le scelte difficili. Il tempo di farle comincia oggi”. A differenza dei suoi predecessori, che, come si dice, dedicavano il primo mandato a procurarsene un altro e il secondo per entrare nella storia, Barack Obama il suo posto nella storia se l’è già assicurato. Ora deve trovarlo nella politica e in questo è accompagnato dal peso immane di un’enorme speranza. Molti commentatori non nascondevano una certa delusione mercoledì scorso per il discorso d’insediamento. Durante tutta la campagna elettorale li aveva abituati a ben altre performance. Eppure in quel low profile, c’era tutta la consapevolezza, il senso di responsabilità, è un tema che sul quale Obama ha molto battuto sia il 20 gennaio e nei mesi precedenti alla sua elezione, che il 44° presidente degli Stati Uniti d’America chiede a tutti gli americani. “Il terreno ci è cambiato sotto i piedi e non possiamo continuare come prima… L’economia è in crisi a causa dell’irresponsabilità e della cupidigia di alcuni e della mancanza di decisione di altri”. “Scrolliamoci la polvere di dosso”, ha detto Obama e ricominciamo da capo. “To dust off” scrollarsi la polvere, è l’invito alla rinascita. Il problema è sapere fare le “scelte difficili” quando vanno fatte, “tenere gli occhi sempre aperti e vigili sul mercato”, che lasciato a se stesso sembra essere stato incapace di controllarne gli animal spirits. E’ stato avaro di sorrisi Obama, uno dei pochi è stato quello un po’ imbarazzato per il piccolo inciampo durante il pronunciamento del giuramento, ma nella fredda giornata di Washington quando le telecamere indugiavano tra i volti della folla sembrava di respirare una sorta di pacificazione collettiva, un immenso, non ostentato, condiviso sorriso che attraversava i milioni di uomini e donne accorsi ad acclamare il proprio presidente perché il resto del mondo va affrontato “in pace, con dignità e umiltà”, perché la forza militare “da sola non ci protegge, né ci autorizza a fare quello che vogliamo”. “Noi tendiamo la mano a tutti coloro che la tendono aperta verso di noi, sciogliendo il pugno”. Oltre l’11 settembre, oltre il “pagare ogni prezzo o portare ogni peso” di John F. Kennedy alla sua inauguration del gennaio 1961. E il padre di Bush male in arnese (e sua moglie Laura che respinge l’aiuto di una mano del seguito dicendo seccata “I’m ok”, non ho bisogno), il bugiardo Dick Cheney sulla sedia a rotelle (quello che si era letteralmente inventato la presenza di armi di distruzione di massa per giustificare l’invasione dell’Iraq), l’elicottero che portava via l’ex presidente George W., sono state le immagini più significative della fine del Regno dei Texani, della fine della dottrina Bush. E’ finita anche la festa presidenziale più costosa della storia degli Stati Uniti, è salito in Campidoglio il nuovo re elettivo Obama II: qualche ora dopo ha dato disposizioni ai magistrati militari dei tribunali per i crimini di guerra di Guantanamo di chiedere una sospensione di 120 giorni per tutti i casi pendenti. E’ un buon inizio. Che come gli stessi magistrati hanno scritto nel loro provvedimento, è “nell’interresse della giustizia”. Ma intanto la borsa di New York salita dopo il discorso alla Capitol Hill, è caduta rovinosamente in chiusura. I timori sul fragile stato di salute del sistema bancario affondano Wall Street nonostante il messaggio di speranza lanciato dal presidente. Gli indici archiviano il peggior inauguration day dal 1963, cioè dall’assassinio di John F. Kennedy: il Dow Jones cede il 4,06% e torna sotto la soglia degli 8.000 punti a 7.944,95. Il Nasdaq arretra del 5,61% a 1.443,60 punti, mentre lo S&P 500 scende del 5,16% a 806,03 punti. Nessuna illusione, il lavoro sarà duro. E’ un duro inizio, niente sconti per Obama.
Saverio Mercadante